Partiamo da un dato di cronaca. In questi giorni ricorrono trent’anni dalla lettera di Ratzinger, prefetto della CDF, ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali. Ratzinger vi faceva affermazioni gravissime, ribadendo l’immoralità del comportamento omosessuale, in sé “disordinato”. È cambiato qualcosa da allora?
Questo documento della CDF dovrebbe chiamarsi “Lettera su come disprezzare e rifiutare la cura pastorale delle persone omosessuali e offenderle con stereotipi pseudo-scientifici sul loro conto”. Dire che tratta della “cura pastorale” è una falsità. La Chiesa vuole evitare a tutti costi la cura pastorale degli omosessuali. La prevede solo per gli eterosessuali (ritenuti sani), tra i quali si fanno rientrare anche i casi di chi non rispetta la norma dell’eterosessualità, considerati patologici,come le persone omosessuali.
Sostanzialmente non è cambiato nulla nella posizione della Chiesa; i documenti successivi della CDF hanno solo esasperato ciò che questa lettera imponeva (riprendendo anche il documento Persona humana, n. 8, del 1975).
Il principale problema è che la Chiesa, pur avendo ammesso il termine “persona omosessuale” in realtà non ha mai trattato gli omosessuali come persone definite dall’orientamento sessuale nella loro natura o essenza personale. Nel caso delle persone eterosessuali ciò è scontato: sono sempre percepite come tali, mentre per gli omosessuali si ammette solo un “comportamento omosessuale”, disordinatamente deciso dall’individuo. Insomma, un’attività ritenuta disordinata, ma mai confrontata seriamente con la questione di un sano orientamento sessuale che decide l’identità personale. La Chiesa ha una paura paranoica di questo tema, perché si rende conto che dovrebbe ripensare il giudizio sugli atti omosessuali. Questo comporterebbe nella Chiesa la stessa rivoluzione omosessuale che stiamo vivendo nelle scienze umane e nelle società civili, che smettono di perseguire l’omosessualità come non sana, la riconoscono e la rispettano per ciò che è veramente: un orientamento sessuale con tutti i diritti spettanti.
In questo senso, dal tempo del primo documento di Ratzinger si è solo esasperata la posizione omofobica della Chiesa, il rifiuto, cioè, per paura e per odio, di confrontarsi con lo stato attuale del sapere scientifico ed esperienziale raggiunto dall’umanità circa l’omosessualità. Purtroppo l’essenza di questa posizione, in aperta contraddizione con i dati scientifici, è trasmessa nel Catechismo della Chiesa Cattolica, che non può essere considerato autorevole nelle questioni riguardanti l’omosessualità.
Nel libro, affermi la necessità di «rifiutare pubblicamente la violenza della Chiesa nei confronti delle persone omosessuali, lesbiche, bisessuali, transessuali, intersessuali». «Noi non siamo nemici né di essa né della famiglia: questa è un’immagine falsa e offensiva che la Chiesa ha creato di noi», hai scritto. Qual è il tuo feedback rispetto al coming out dell’ottobre dello scorso anno e alla pubblicazione del libro? Si è mosso qualcosa? Che tipo di pubblico ha letto il tuo libro?
Il feedback per il mio libro è coerente con quello del coming out, di portata mondiale. Per me è un’esperienza profondamente cattolica, universale, confrontarmi con persone di tutti i continenti. Fin dall’inizio sono stato sommerso da una montagna di messaggi che continuano ad arrivare (certo ci sono anche calunnie e minacce durissime). Il libro ha rinvigorito questo mio dialogo con le persone, che sono adesso i miei lettori e lettrici. La prima pietra è stato pubblicato alcuni mesi fa in Italia (con orgoglio direi: la mia seconda patria) e in Portogallo è uscita la prima traduzione suscitando una straordinaria risposta non solo dei media, ma delle associazioni, delle singole persone e famiglie. Altre traduzioni sono in preparazione.
Per molte persone sia il coming out in Vaticano sia il libro che nasce da esso è stato un conforto, per altri motivo di un’inquietudine costruttiva per pensare ai diritti di altre persone. Solo il sistema istituzionale della Chiesa ha sbattuto la porta e ha fatto di tutto per denigrare il messaggio, usando i media e le società su cui è influente.
Le frasi del mio libro che ricordavi sono l’espressione della protesta e la denuncia di un inquisitore che credeva in ciò che faceva quando collaborava nella Chiesa alla persecuzione delle minoranze sessuali. Un coming out è anche conversione a una verità che la Chiesa attualmente disconosce.
Hai raccontato la tua storia in un libro che è, prima che un’autobiografia, la biografia di una Chiesa «che domina le persone, le sottomette, inculca loro il senso di colpa e promette la salvezza». «Se pubblicamente rinuncerai alla tua sessualità, ti salverai». Perché il controllo delle persone attuato nella Chiesa attraverso il controllo della sessualità ha attraversato quasi indenne la rivoluzione sessuale e il recupero della dimensione sessuale della persona umana degli ultimi 50 anni? Qual è il rapporto tra sessualità e potere nella Chiesa?
Sì, questo libro è la storia del rapporto tra un individuo e la Chiesa, tra il singolo e l’istituzione; per questo dico che è più la biografia della mia Chiesa che di me stesso. Il rapporto tra sessualità e potere nella Chiesa cattolica è immenso. A dire il vero, esiste in ogni realtà umana, perché la sessualità ha una dimensione sociale e politica. Ma nella Chiesa trova una sua forma del tutto degenerata. Da una parte il sistema del potere patriarcale e machista (e non di fraternità e di servizio) che abbiamo elaborato è permeato dalla sessualità. Dall’altra, la sessualità è ridotta a complessi e sensi di colpa da una morale inumana. Necessita dunque di una compensazione, ed è qui che nascono tutti gli “sport” nazionali della Chiesa, che sostituiscono la mancanza di una sana relazione con la sessualità propria e degli altri. Tra questi c’è l’esasperata ricerca della carriera e del prevalere sugli altri, specialmente sulle donne; la riduzione del ministero a fonte di benessere; l’alcolismo (ad esempio in Polonia), ma anche la pedofilia, cioè la violenza sessuale contro qualcuno che è sottomesso e ridotto al silenzio. Penso che la capacità di passare dalla Chiesa del potere malato alla Chiesa fraterna dei primi secoli passi per la riforma della nostra visione della sessualità e dei rapporti umani, liberi dal tabù delle differenze sessuali e del genere. Quando la Chiesa inizierà a rispettare la sessualità e la coscienza dei cristiani nel campo della sessualità, sostituirà gli abusi di potere con il rispetto della persona umana e la fraternità.
Nel libro definisci la Chiesa “la più vecchia organizzazione omosessuale di questo mondo, l’unica a vantare più di duemila anni di storia”, anche data la presenza di un clero un clero “pieno di gay che sono al contempo violentemente omofobi”. Qual è la radice di questa disfunzione? E se le cose stanno così, cosa deve cambiare nella Chiesa perché la Chiesa cambi?
La disfunzione sta nell’essere omofobi, mentre la Chiesa formata dai gay dovrebbe essere un fatto naturale e buono come l’esistenza, in essa, di eterosessuali o transessuali o intersessuali. Tutti devono essere rispettati e trattati alla luce della verità della loro condizione e non imponendo i pregiudizi pseudo-scientifici che la Chiesa segue attualmente.
Penso che in passato, quando la stigmatizzazione degli omosessuali nella società era generalizzata, il sacerdozio è stato un “naturale” spazio di realizzazione sociale di ogni gay che non si sentiva di sposare una donna e perciò si rifugiava nel clero celibatario per nascondere, coscientemente o no, la propria condizione. La Chiesa vorrebbe prolungare questa situazione psicologicamente e spiritualmente non sana, che produce persone monche, prive della possibilità di accettare e maturare la loro sessualità. La dottrina della Chiesa impone loro di percepire se stessi come patologici: lo imponeva nel documento Persona humana 40 anni fa, e lo ha ripetuto nel Catechismo. Continua a prescrivere alle masse cattoliche una chiusura ignorante e ridicola su questioni che ormai sono da semplici manuali di biologia. Ciò che è preoccupante è che riesce a manipolare ampi strati dell’opinione pubblica mondiale, mantenendo emozioni omofobiche.
Questo deve cambiare e cambierà: al riguardo non ho dubbi. La questione è solo quanti dovranno ancora soffrire. Credo che due siano le forze di un tale cambiamento: dal basso è la forza della società, specialmente dei cattolici che smettono di aver paura di esigere pubblicamente dalla Chiesa che consideri lo sviluppo scientifico attuale sulla sessualità, chiedendole di iniziare a studiare la realtà seriamente e senza gli attuali pregiudizi. È urgente che vi siano sempre più atti pubblici di coming outdi gay credenti che producano scosse ecclesiali potenti. Tale è stato il senso del mio atto ecclesiale di coming out.
Dall’alto, invece, è necessaria la decisione politica da parte dell’autorità religiosa, papa o episcopato o anche sinodo, di iniziare a studiare seriamente lo stato del sapere umano sull’orientamento sessuale, confrontandolo poi con il nostro sapere di credenti che viene dalla Bibbia e dalla Tradizione. Solo così si aprirà quel processo che stanno percorrendo le Chiese evangeliche e la comunità anglicana. Speravo che nei Sinodi di Papa Francesco si tornasse a usare la ragione, ma conoscendo dall’interno i preparativi del secondo Sinodo sapevo già che la chiusura omofobica si sarebbe riaffermata, e ho raggiunto la certezza di doverla denunciare personalmente nell’atto del coming out.
Qualcuno può dire che sono ingenuo nella mia ribellione a un’istituzione potente e a una mentalità diffusa. No, sono un credente con una responsabilità di fronte alla verità, che non posso nascondere in mezzo alla Chiesa, specialmente quando essa offende la ragione e il sapere umano offendendo i diritti umani delle persone LGBTI.
Si è parlato spesso dell’esistenza di una cosiddetta “lobby gay” in Vaticano. Che funzione avrebbe? Quale sarebbe il suo nucleo di forza?
Anch’io mi ponevo spesso queste domande, quando sentivo i messaggi di indottrinamento e di manipolazione da parte delle massime autorità religiose che ci convincevano in continuazione che esiste una “lobby gay”. Oggi sono sicuro che quel discorso è frutto dell’omofobia, che vede gay da tutte le parti e li colpevolizza per mantenere nelle masse la paura e l’odio verso quel gruppo sospettato. È come nel medioevo, quando i gay, insieme agli Ebrei, erano considerati responsabili delle calamità naturali. Adesso sono accusati di voler distruggere l’umanità, la famiglia, l’ordine pubblico. In questi giorni radio Maria insinuava che i terremoti in Italia sono dovuti ai gay e al riconoscimento dei loro diritti. Questo tipo di manipolazione della gente che si fida della Chiesa è diabolico. Così passa l’indottrinamento delle masse con il tacito permesso della Chiesa. La responsabilità della Chiesa nel suscitare odio è attualmente enorme.
Tornando alla “lobby”, a mio modesto parere una “lobby gay” in Vaticano non esiste; vi è una lobby che lavora per fomentare l’omofobia, che è forte nella Chiesa e raccoglie frutti sempre più perversi (manifestazioni omofobiche di masse cattoliche, influenze dirette e nascoste sulle società democratiche da parte della Chiesa, mantenimento di una mentalità ignorante e odiosa nei confronti dell’omosessualità, ecc.). Tutto ciò è un “successo” della Chiesa di Wojty?a/Ratzinger ed è l’unica risposta che la Chiesa ha dato alla grande questione umana e scientifica dell’omosessualità. Se esiste una “lobby gay”, o è totalmente inefficace o lavora contro i diritti umani, ma in quel caso è “anti-gay” e “anti-cristiana” anche se formata da vescovi e preti gay. Ma Ratzinger ci ha spiegato qualcosa di quel mistero nel suo libro, parlando di 4 o 5 persone, se ricordo bene. Quest’ammissione è uno scandalo quando penso alla forza della propaganda ecclesiale contro una presunta lobby gay, che adesso risulterebbe formata da alcuni disgraziati, che nulla hanno fatto per il rispetto dei diritti umani delle persone LGBTIQ nella Chiesa. Per Ratzinger la “lobby gay” sarebbe un gruppetto di spregiudicati carrieristi, che è una specialità lobbistica nella Chiesa, ma che non ha nulla a che vedere con una sana lobby per la difesa dei diritti umani delle minoranze. Io penso piuttosto che nella Chiesa possano esservi le lobby pedofile, ma questo nulla c’entra con le sane persone omosessuali.
Però la tua domanda mi permette di toccare un altro tema: quello della responsabilità dei papi, vescovi, preti e diaconi omosessuali, che non esigono dalla loro Chiesa la riflessione sul sano e naturale orientamento sessuale non eterosessuale. Questa è una grave responsabilità morale dei gay nascosti nella Chiesa. Per molti si tratta di ignoranza, per molti invece di un vero e proprio crimine morale. Perché grazie al loro atteggiamento la Chiesa fa soffrire molti.
Se nella Chiesa cattolica i gay sono discriminati, in quella protestante c’è tutta un’altra atmosfera. Il protestantesimo, peraltro, dà anche alla donna un rilievo del tutto differente rispetto alla Chiesa cattolica. Culturalmente c’è un legame tra discriminazione delle donne e dei gay nella Chiesa cattolica? Qual è l’elemento proprio della cultura cattolica che fa la differenza?
In primo luogo, il protestantesimo, come l’anglicanesimo, ha iniziato da tempo un indispensabile confronto con le scienze umane sull’omosessualità. Non è un processo facile, come non fu facile per l’umanità accettare che la Terra gira attorno al Sole, perché richiedeva di cambiare la visione del mondo dell’intera umanità. Anche oggi il serio confronto con la vera rivoluzione della scoperta dell’orientamento sessuale, contro la precedente convinzione dell’umanità esclusivamente eterosessuale, è un processo storico non facile e non immediato. I nostri fratelli della Riforma hanno avuto il coraggio di iniziarlo, cioè di trattare la questione seriamente, studiare ipotesi e tesi delle scienze sulla sessualità e così confrontarle con l’interpretazione della Scrittura. Lo dovrà fare in futuro anche la Chiesa cattolica se non vuole finire come una setta irrazionale e fondamentalista. Per il momento si comporta così, fomenta paura e odio omofobico, come un ombrello che dovrebbe proteggerci davanti al progresso della conoscenza razionale.
In secondo luogo, non ho dubbi che l’omofobia è solo un’altra faccia della medaglia della misoginia presente nella mentalità e nelle strutture ecclesiali. Tutto si spiega con la forza prepotente di una società patriarcale e machista, dove la donna non è definita in se stessa, ma solo in riferimento all’uomo maschio, cioè come “qualcosa (neanche qualcuno) a cui manca la mascolinità”, mentre i gay sono percepiti come “maschi che hanno rinunciato alla loro superiorità rispetto le donne” e si sono femminizzati, secondo lo stereotipo del gay effeminato. Nel caso della mentalità cattolica questo è particolarmente visibile, perché fomentato dall’insegnamento che in maniera sotterranea spinge a percepire in questa maniera l’umanità. A questo scopo usa la dottrina (qualificata come “magisteriale”) a cui sottomette tutti i cattolici. Rende dogmatiche e universali la soluzioni del passato, limitate culturalmente, storicamente o geograficamente e contrarie allo spirito del Vangelo, alla fraternità e all’uguaglianza, al rispetto delle diversità.
In terzo luogo, per trovare un elemento della cultura cattolica che mantiene vivi questi problemi ancora oggi e impedisce di iniziare a riflettere su di essi seriamente nel campo dogmatico, devo premettere che la misoginia si vince definitivamente solo ammettendo le donne in ugual maniera al ministero sacro, mentre l’omofobia si vince in definitiva solo riconoscendo agli omosessuali gli stessi diritti dei quali godono gli eterosessuali. Altrimenti si mantiene solo la percezione che le donne e gli omosessuali sono difettose/i rispetto ai maschi eterosessuali. Credo che dietro ci sia effettivamente una particolarità della diffusa mentalità cattolica: è non superato il complesso della sessualità e delle differenze sessuali. Una Chiesa che stigmatizza gli sviluppi moderni della coscienza della sessualità umana come un’opera del demonio e vorrebbe che tutto continuasse come un tabù ha la sola forza di aumentare l’ignoranza e i complessi delle masse, che nella Chiesa ancora confidano.
Cosa ti attendi da Francesco e dal suo particolare accento sulla misericordia? C’è spazio, secondo te, per qualche apertura?
Riguardo al rispetto delle persone non eterosessuali o ai divorziati uniti in un nuovo matrimonio e a molti altri che attendono di essere trattati dalla Chiesa seriamente e senza pregiudizi, adesso non attendo più nulla da papa Francesco. Ciò che effettivamente egli ha fatto è stato un cambio di clima con le sue omelie, le telefonate ai fedeli, i discorsi informali, ma non ha fatto niente più di ciò che è suo dovere come papa (secondo l’attuale dottrina del papato, che non è stata mutata). Sembrava aver iniziato bene, convocando i Sinodi su temi urgenti: amore e sessualità, famiglia e matrimonio, ma alla fine, quando ha dovuto concludere i sinodi con il suo documento, Amoris laetitia , è tornato alla stigmatizzazione degli omosessuali, mentre prima prometteva prudenza e pazienza nell’osservare gli sviluppi moderni. Bastava non dire nulla sugli omosessuali, se effettivamente non si sapeva dire nulla di nuovo rispetto a ciò che è pubblicamente conosciuto. Per i divorziati ha portato al livello dottrinale lo status quo, che vivevamo già nella Chiesa senza il suo documento, dove disgraziatamente il modo in cui sono trattati i fedeli dipende dai singoli preti e vescovi: in Germania con più misericordia e comprensione della dignità umana e cristiana; in Polonia con un disumano e feroce rigorismo, che è la forma di dominio del clero sui fedeli. Il papa non ha proposto la riforma, ma ha sanzionato lo status quo vigente. Non ha seguito il buon senso di non ribadire certe condanne stigmatizzanti, ma le ha ribadite in pieno, tornando alla propaganda contro il matrimonio delle persone non eterosessuali, senza mai aver studiato chi sono queste persone! Nel mio libro racconto come si “studiano” in Vaticano le questioni per il papa.
A parte queste decisioni politiche (non dogmatiche: politica pura!), lui personalmente sin dal principio del pontificato ha portato un nuovo vento dello Spirito, che spero farà qualcosa di buono nella mentalità cattolica, ma non è il coraggio della riforma conciliare che sembrava di voler riproporre. Nonostante le ombre sono sostenitore di papa Francesco e prego per il suo ministero della misericordia sperando che almeno inizierà a trasformare la mentalità integrista del cattolici dal basso, che sarebbe già un successo.
Nel tuo libro ti definisci ora “un uomo libero” che vuole ancora credere, ma stando dalla parte e al servizio del popolo omosessuale, ed aiutandolo a risvegliare quell’istituzione “addormentata, farisaica e ipocrita, pietrificata nelle sue fredde e disumane dottrine, senza misericordia e carità alcuna”. Che progetti hai?
È così: per vedere gli effetti sociali ed ecclesiali dei coming out ci vuole più tempo, il primo effetto di ogni uscita dall’armadio è la liberazione. Ogni liberazione rende il mondo e la Chiesa più libera. Penso che il mio libro, La prima pietra, sia un contributo per questo risveglio di coscienza nella Chiesa o anche solo per ammettere l’esistenza di una questione seria che finora non è trattata seriamente. I miei progetti: pensare, scrivere, comunicare, lavorare per i miei ideali cristiani e umani. In tutto ciò continuo la mia missione sacerdotale nella Chiesa, pur essendo stato “buttato via” dalla Chiesa senza alcun dialogo evangelico e fraterno. Il progetto è l’annuncio a favore di varie realtà perseguitate nella Chiesa, come le minoranze sessuali o i divorziati risposati sottoposti a disciplina inumana che non ha nulla a che fare con il Vangelo e con la dottrina sacramentaria. È un annuncio anche a favore delle maggioranze, come le donne che non sono ancora soggetti a pieno titolo nella comunità cattolica o come gli eterosessuali, sottoposti anch’essi a una morale sessuale che disconosce il sapere scientifico attuale, finisce per essere fondamentalista e non può essere osservata da persone razionali. I campi della mia riflessione sono molti e sto lavorando come scrittore, conferenziere, difensore della persona umana. Quella persona umana, che dovrebbe diventare finalmente “la via della Chiesa” nello spirito del Concilio Vaticano II, la cui attuazione è stata efficacemente bloccata nella Chiesa di Wojty?a/Ratzinger.
* Ludovica Eugenio (redazione Adista) intervista Krzysztof Charamsa, teologo polacco, fino al 2015 prete nella Congregazione per la Dottrina della Fede. Durante il Sinodo sulla famiglia ha deciso di svelare la propria omosessualità. Dalla sua storia è nato il libro La prima pietra (Rizzoli, 2016).
Da questo link è possibile scaricare l’intero numero in formato pdf
* Immagine: particolare della copertina del libro La prima pietra