La celebre massima di Tommaso d’Aquino Distingue frequenter sarà il faro dell’indagine che ci accingiamo a compiere sul multiforme concetto di libertà religiosa.
Una prima fondamentale distinzione si colloca tra la libertà religiosa degli individui, coincidente con la libertà di coscienza, e la libertà religiosa delle confessioni intese come istituzioni, anche se formalmente possono non esserlo.
Diversi eventi storici confermano questa distinzione: il cosiddetto Editto di Costantino (313 d.C., libertà religiosa per tutti i culti, libertà dei cittadini dell’Impero come riconoscimento della libertà di coscienza in nome della coesistenza pacifica di tutte le religioni e degli orientamenti di fede). Sono gli albori del principio di tolleranza. La Chiesa è considerata l’emanazione della comunità dei cristiani. Segue, in tutt’altra temperie, l’Editto di Nantes (1598: dopo lo sfinimento delle guerre di religione in Francia, viene riconosciuta la libertà di coscienza a tutti i cittadini come rispetto di tutte le convinzioni religiose). Sull’altro versante, l’Editto ed i decreti di Teodosio (380 e 391-292 d.C) assumono la religione cristiana, essendo ormai cresciuto a dismisura il numero dei cristiani, al rango di “Religione di Stato”; libertà religiosa per i cristiani (e persecuzioni per i culti pagani), ma soprattutto riconoscimento dell’“autorità” della Chiesa. Fa parte invece della Storia Moderna il trattato tra Carlo V e i principi protestanti a conclusione delle sanguinose guerre tra luterani e cattolici, dopo la Pace di Augusta (1555). Il cuius regio eius religio sancisce un patto tra l’Imperatore del Sacro Romano Impero e i principi divenuti protestanti: i sudditi dovevano seguire la fede religiosa del loro signore; chi non riteneva di adattarsi poteva emigrare in altro land. Ultimo, su questa linea, lo Statuto Albertino (1848, poi Carta fondamentale del Regno d’Italia), col riconoscimento della Religione Cattolica Apostolica Romana come la sola religione dello Stato italiano, con un richiamo – tuttavia – alla tolleranza per gli altri culti.
I casi che abbiamo riportato dimostrano eloquentemente la distinzione tra libertà religiosa dei singoli e autorità delle Chiese.
Al loro interno le Chiese non hanno adottato il principio di tolleranza. Ne sono testimoni per quanto riguarda la Chiesa di Roma i roghi, le persecuzioni, i Tribunali dell’Inquisizione che hanno perseguitato con estrema crudeltà coloro che all’interno della comunità rivendicavano quella che oggi viene definita “libertà religiosa”, ossia la libertà di cambiare religione o di non professarne alcuna, di manifestarla nell’insegnamento, nella pratica o nell’adorazione e nell’osservanza, senza limitazioni o ritorsioni da parte di autorità costituite, conservando gli stessi diritti dei cittadini che hanno fede differente, compreso quindi anche il diritto per gruppi religiosi di testimoniare e diffondere il proprio messaggio nella società, senza per questo essere oggetto di disprezzo o di persecuzione. Si tratta di affermazioni opposte ai fondamentalismi che in qualche misura continuano ad albergare, in forme più o meno cruente, all’interno delle Chiese-istituzione (quanto, il principio di tolleranza è stato tradito dagli adepti stessi che non hanno rinunciato a denigrarsi a vicenda, rendendo possibili le violenze delle Chiese?)
«La Chiesa – hanno detto più volte in epoca recente eccelsiastici e papi, tra loro anche Wojtyla e Ratzinger – non è una democrazia». Fanno riscontro le parole della CEDU (Corte Europea per i Diritti Umani): «I diritti individuali e del libero esercizio delle credenze religiose in una società democratica non possono essere sgretolati da disposizioni statiche imposte dalla religione di riferimento». Ne consegue che i diritti individuali – in una società democratica – non possono subire discriminazioni a seconda delle religioni in cui uno/una si riconosce o per non professarne alcuna. La personalità giuridica della confessione di appartenenza non può, insomma, legittimamente influire sui diritti del singolo.
Libertà “nella Chiesa” e libertà “dalla Chiesa”
Nel novero di chi rivendica la libertà religiosa “dalla Chiesa” si registrano anche coloro che si professano atei, tuttavia non assimilabili ai “diversamente credenti”. Ciascun individuo è ateo secondo una propria visione filosofica; gli atei sono accomunati in associazioni proprio dal rifiuto di una Chiesa, di un valore assoluto…
Una legge sulla libertà religiosa dovrebbe servire a superare l’intolleranza tra credenti, non credenti, diversamente credenti e istituzione ecclesiastica; a tutelare i diritti individuali che non possono essere mortificati dal “potere religioso”. È ancora la CEDU a spianare la via sulla base dell’art. 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: «Non si ha una democrazia laddove la popolazione di uno Stato, anche a maggioranza, rinuncia ai suoi poteri legislativo e giudiziario a vantaggio di un’entità che non è responsabile davanti al popolo che essa governa, sia che questa entità sia laica o religiosa».
In realtà la libertà religiosa degli individui, benché sempre proclamata nelle varie proposte di legge quale mera affermazione di principio, resta, come vedremo, ancorata alla sola difesa personale della libertà di coscienza, distinta ancora una volta dall’attenzione all’autorità delle Chiese di cui il legislatore si occupa.
Ma una legge sulla libertà religiosa (e di coscienza) è auspicata come “necessaria e urgente” da credenti e non credenti dall’entrata in vigore della Costituzione, in attuazione del suo art. 19, per porre fine alle discriminazioni tra gli individui sulla base delle appartenenze religiose, e per «creare uno spazio pubblico di laicità» (Laura Balbo). Se ne occupò per primo il governo Andreotti nella X legislatura; tra i motivi principali il superamento della legge fascista n.1159/1929 sui culti ammessi, emanata all’indomani del Concordato del 1929, in contrasto coi principi costituzionali espressi negli Artt. 3, 8 e 19 della Costitizione.
L’opposizione della CEI (Conferenza Episcopale Italiana) fu certamente un ostacolo all’iter del ddl governativo. Il progetto governativo riprese tuttavia il suo cammino con maggiore intensità tra il 2002 e il 2005 nelle Commissioni Parlamentari, fino ad arrivare nel 2006 alla formalizzazione delle proposte degli on.li Boato e Spini (rispettivamente la n. 36 e n. 134 “Norme sulla libertà religiosa” (ma è specificato: libertà di religione e di coscienza) e “abrogazione della legislazione dei culti ammessi”. «L’attuazione degli artt. 19 e 20 della Costituzione necessitano di una legge attuativa» (Spini); ma l’intervento autonomo e unilaterale dello Stato in tema di libertà religiosa, trattato nel Concordato e nelle Intese obbligatoriamente a livello bilaterale, viene definito «prospettiva pericolosa e di dubbia utilità», ha rilevato Marco Canonico, docente di diritto canonico e diritto ecclesiastico a Perugia. Una legge generale ordinaria sulla libertà religiosa, per i motivi citati, pare ad alcuni/e giuristi inopportuna; d’altronde una legge di rango costituzionale creerebbe discriminazioni nei confronti di coloro che le Intese le hanno già firmate. Sono a tutt’oggi 12 le confessioni religiose firmatarie di Intese con lo Stato italiano (ma difficile è l’Intesa con i musulmani, frammentati al loro interno). Nel 2008, nella XV legislatura, viene presentata una proposta di legge sulla libertà religiosa (in cui non è più specificata “libertà di coscienza”), la n. 144, a firma dell’on. Zaccaria. Essa si fonda – nell’enunciato – «sul principio della laicità dello Stato al quale è data attuazione nelle leggi della Repubblica». L’esame dei tre testi (oltre ad altri presentati in quegli anni da parte degli on.li Maselli, Malan e Negri) ha dato luogo a varie obiezioni. In particolare, è stata rilevata negativamente una tendenza ad accentrare nello Stato poteri sottratti alla sfera religiosa, consentendo- in altre sedi- privilegi a determinate confessioni, in primo luogo alla Chiesa cattolica. (Es. n. 144, art. 12. Riguardo ai ministri del culto, le confessioni non riconosciute, oltre alla cittadinanza italiana, devono avere l’approvazione del Ministro degli Interni, in contrasto con un articolo della proposta stessa in cui si dice che le confessioni hanno diritto a formare e nominare liberamente i ministri del culto (la proposta subordina peraltro l’iscrizione dei ministri del culto a una valutazione dello Statuto della confessione di appartenenza «quando è notorio che possono esistere confessioni anche prive di organizzazione interna e dunque senza uno statuto che lo stesso Art. 8,2 Cost. prevede come facoltativo, non obbligatorio», rilevò Marco Canonico). Ci siamo davvero allontanati dalla legge sui culti ammessi? Altro rilievo è sul regime matrimoniale. Le proposte Boato e Spini affidano all’Ufficiale di Stato Civile la lettura degli articoli relativi al matrimonio civile nell’atto delle pubblicazioni presso la Casa comunale; la proposta Zaccaria assegna invece al solo sacerdote la lettura degli articoli del Codice Civile, come se il matrimonio religioso fosse una “forma specifica” del matrimonio civile. Si riconosce in quest’ultima disposizione un’assenza di laicità nella mancata distinzione, un mancato riconoscimento di autonomia degli aspetti civile e religioso, assenza che peraltro si rileva anche nella disposizione relativa alle scuole paritarie, per le quali il legislatore si riferisce in toto alla Legge 62/2000 che violò a suo tempo la distinzione costituzionale tra Scuole statali e Scuole private. Altro punto di dubbia laicità, ancora relativo all’istituto del matrimonio, è rappresentato dall’art. 47 della 144, in cui il matrimonio religioso con effetti civili è consentito solo alle confessioni “riconosciute” e, sempre sulla stessa linea (a differenza delle proposte Boato e Spini ) si ammettono alla stipulazione dell’Intesa solo confessioni riconosciute (artt. 27 e 28).
Cosa si intende per “confessioni riconosciute?”. Nelle proposte Boato e Spini si intende confessioni religiose con personalità giuridica acquistata secondo un iter vagliato dalle istituzioni statali, in seguito al quale le confessioni religiose possono iscriversi nel registro delle persone giuridiche; secondo Zaccaria si fa invece riferimento a un iter più breve per l’acquisizione della personalità giuridica, ma viene istituito un apposito registro delle confessioni religiose in cui rientrano solo le confessioni con personalità giuridica (queste possono sottrarsi in qualche misura ai poteri dello Stato, fruire di normative agevolate in materia di erogazioni liberali…). Ma tutto ciò, ha rilevato Marco Canonico, «significa discriminare confessioni che per oggettiva impossibilità o per libera scelta non abbiano ottenuto il riconoscimento, situazione che non fa tuttavia venir meno la loro qualifica e la conseguente titolarità delle prerogative e libertà che ne conseguono». «Il registro – argomenta la studiosa Patrizia Piccolo – ha poi solo l’aria di un registro speciale, il quale conferirebbe alle sole confessioni religiose o i loro enti esponenziali una qualifica di favore rispetto alle altre persone giuridiche». Manca, comunque, nota la studiosa, «una definizione giuridica del concetto di confessione religiosa».
Libertà nel Concordato o libertà dal Concordato?
Ma nell’iter che abbiamo tracciato, quale spazio per i cittadini credenti e per le loro libere associazioni?
Nella proposta dell’on. Malan si parla di valutazione della «presenza sociale organizzata sul territorio nazionale»; nella proposta Zaccaria (n. 2186/2009) questa non viene considerata, ossia viene valutata solo ai fini della concessione degli edifici di culto, dopo la forte ondata di immigrazione a Milano.
Alla luce di quanto siamo venuti evidenziando, il traguardo di una legge sulla libertà religiosa, auspicata e temuta, appare ancora lungi dall’essere raggiunto. Le perplessità superano gli apprezzamenti. Dalla legge sui culti ammessi (che, pur di stampo fascista, non escludeva dalla possibilità di veder riconosciuti gli effetti civili del matrimonio religioso le confessioni prive di riconoscimento) si passerebbe così alla legge sulle confessioni religiose “riconosciute”, o, piuttosto alla legge sulle confessioni “convenzionate” con lo Stato, non certamente – come rileva Patrizia Piccolo – alla legge sulla libertà religiosa. Del resto, si è visto che tutti i progetti di legge presi in esame si muovono più nell’ambito dell’art. 8 della Costituzione che di quanto disposto nell’art. 19 della Costituzione. Lo Stato, infatti, per superare l’ormai anacronistica legislazione sui culti ammessi, rischia di non rispondere alle possibili e varie esigenze delle confessioni religiose diverse dalla cattolica, e, ancor più, di non riuscire a garantire un’equilibrata tutela dell’individuo nei rapporti con le confessioni religiose di appartenenza.
«La posta in gioco è davvero alta – afferma Marco Canonico – poiché interessa un diritto fondamentale» e «rischia di incidere sul margine di libertà che i Padri Costituenti hanno voluto delineare con la massima ampiezza». Le indicazioni dei Costituenti «devono far riflettere riguardo alla tentazione, ricorrente e dilagante, di introdurre una disciplina particolareggiata in questa materia, col pericolo di limitare indebitamente l’ambito di libertà senza comunque riuscire a disciplinare ogni possibile aspetto giuridicamente rilevante di comportamenti individuali e collettivi in materia religiosa».
Tutto ciò considerato, resta in noi laici, rispettosi della libertà di coscienza e dei diritti di credenti e non credenti, una domanda cruciale, alla quale queste proposte di legge non sembrano dare risposta: è auspicabile una legge sulla libertà religiosa in un regime che lascia intatti Concordato e Intese, con le conseguenze gerarchiche, selettive e discriminatorie che ne derivano?
L’autrice di questo articolo è Antonia Sani, tra i membri fondatori del “Comitato Nazionale Scuola e Costituzione”. Fa parte dell’“Associazione nazionale per la Scuola della Repubblica”. Dal 2007 è presidente della Wilpf Italia (Womens International League for Peace and Freedom). Già presidente del Crides (Centro Romano di Iniziativa per la Difesa dei Diritti nella Scuola). Ha fatto parte della Giunta Esecutiva dell’Associazione “Carta 89” fino al suo scioglimento..
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