L’immigrazione costituisce per l’Italia una grande sfida politica, sociale e culturale. Sul suo territorio risiedono oltre 5 milioni di immigrati. Si tratta di flussi molto eterogenei, provenienti da diverse aree geografiche (Europa, Africa, Asia, America Latina).
Il Paese ha subìto negli ultimi 40 anni una forte e continua trasformazione del suo tessuto sociale, dal punto di vista culturale, etnico e religioso. Esistevano già minoranze religiose ma erano numericamente poco influenti. È stato il flusso migratorio verso la Penisola, a partire dagli anni Settanta, ad avviare un tangibile cambiamento del mosaico culturale e religioso del Paese. Prima di allora l’Italia era un Paese di emigrazione: oggi, secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, su 100 italiani che vivono nel Paese natale, 7 risiedono all’estero e vi sono circa 60 milioni di persone sparse nel mondo che hanno origine italiana.
L’inversione di marcia è avvenuta intorno al 1970 e il numero degli immigrati, inizialmente contenuto – 140mila nel 1970 e 299mila nel 1980 – ha subìto negli ultimi 25 anni una crescita esponenziale. Secondo dati Istat, gli immigrati sono passati da 990mila nel 1995 a 3 milioni nel 2005, per arrivare a 5 milioni nel 2014 (Dossier Statistico 2015, Idos/Confronti). Questo ingente incremento dell’immigrazione ha colto impreparate le istituzioni che, per inesperienza, non hanno saputo governare il fenomeno in maniera adeguata ed hanno adottato misure di carattere assistenziale, emergenziale e repressive. Ciò ha portato ad una cronica ingovernabilità del fenomeno, generando insicurezza e xenofobia tra gli autoctoni da un lato – molti dei quali vedono oggi negli immigrati una minaccia alla propria sicurezza e alla propria identità culturale – e, dall’altro, malcontento tra gli immigrati stessi, diversi dei quali non si sentono parte integrante di una comunità nazionale e tendono a rinchiudersi in ghetti etnici o comunitari.
La stragrande maggioranza di quanti sono immigrati verso l’Italia – proprio per la storia “poco coloniale” del Paese – non conoscono la lingua e ancor meno la cultura italiana: rumeni, albanesi, marocchini, cinesi, solo per citare le 4 comunità più rappresentate. Quando sono arrivate nella Penisola, i marocchini al massimo erano tifosi di qualche squadra di calcio italiana o avevano visto qualche B-movie italiano, tradotto in francese.
Il fattore religioso
I 5 milioni di immigrati residenti in Italia appartengono ad una molteplicità di tradizioni religiose, di cui il cattolicesimo rappresenta una minoranza (18,3%). La più grande comunità straniera è quella rumena, tradizionalmente di fede ortodossa. La seconda religione più diffusa è quella islamica.
La questione islamica in Italia è al centro del dibattito politico e culturale da diversi anni. A partire dall’11 settembre 2001, gli episodi di violenza e di terrorismo internazionale, che hanno visto protagonisti movimenti di matrice islamica, hanno contribuito a porre al centro, in maniera problematica, il rapporto con l’islam. Il velo, il fondamentalismo, la “guerra santa”, la libertà religiosa sono temi ampiamente dibattuti dall’opinione pubblica e suscitano spesso una sorta di islamofobia diffusa.
La presenza islamica è dovuta in larga maggioranza al flusso migratorio, avviatosi negli anni Settanta e proveniente soprattutto dal Nord Africa. La maggioranza degli immigrati musulmani si è definitivamente stabilita in Italia. Per lo più uomini, i migranti islamici fanno domanda per il ricongiungimento familiare. E infatti il progressivo aumento delle donne musulmane nel Paese e di bambini musulmani nella scuola pubblica, sono indicatori di una dinamica migratoria, per la minoranza islamica, entrata in una fase di stabilizzazione, che porterà nei prossimi anni al progressivo e sensibile affacciarsi sulla scena pubblica italiana di “musulmani di seconda generazione” nati in Italia (con o senza passaporto italiano).
Per praticare la propria fede ed educare i propri figli alla religione islamica, i musulmani tentano di aggregarsi intorno alle moschee, per lo più piccole sale di preghiera ricavate spesso da garage, sotterranei condominiali e capannoni. In molti casi questi luoghi di culto risultano non idonei, non sicuri e non conformi alla legge. Inoltre, a causa dell’assenza di un riconoscimento giuridico ufficiale della religione islamica, le moschee continuano ad essere giuridicamente considerate associazioni o centri culturali. Per alcune realtà, la moschea assume una carica simbolica che va oltre la sua funzione di culto, in termini di visibilità e di rivendicazione identitaria: è uno spazio per richiamare l’attenzione delle istituzioni e della società civile.
Un ostacolo all’integrazione
La numerosa comunità islamica si trova oggi ad affrontare una duplice sfida: da un lato l’ostilità culturale che deriva da una sempre crescente islamofobia; dall’altro, l’interpretazione della propria tradizione religiosa per renderla compatibile con il nuovo contesto sociale, culturale e politico.
Oggi in Europa, e quindi anche in Italia, la psicosi degli attentati è molto diffusa tra la gente: in molti hanno paura di prendere un aereo, un treno, o andare in metropolitana, ecc. Un sentire comune che vede nell’islam la causa principale del terrorismo che oggi minaccia il quieto vivere, la sicurezza negli Usa e in Europa, dove vivono milioni di musulmani, guardati da molti con timore e sospetto.
La paura dell’islam, culminata poi in una dilagante islamofobia, non è appannaggio della sola Italia; l’ipotesi che la Francia, l’Inghilterra e altri Paesi Ue saranno invasi da qui a pochi decenni è molto diffusa tra l’opinione pubblica occidentale.
Un’analisi razionale – sganciata da schemi ideologici – della presenza islamica in Europa, porta alla conclusione che la paura dell’islam sia ingiustificata. Quanti sono i musulmani oggi in Europa e quanti saranno nel futuro? Il loro tasso di crescita è davvero così alto e preoccupante?
Secondo una ricerca effettuata dal Pew Research Center (gennaio 2011) intitolata “The Future of the Global Muslim Population”, nel 2010 i musulmani in Europa occidentale erano circa 18 milioni, ovvero il 4,5% della popolazione; nel 2030 saranno 30 milioni, con una incidenza sulla popolazione pari al 7%. In Italia l’incidenza passerà dal 2,6% del 2010 al 5,4% previsto nel 2030.
Questi dati sono in netta contraddizione con quelli avanzati dai teorici dell’invasione islamica. A confutare la loro tesi vi è un altro indicatore: quello del tasso di fertilità. Secondo i dati della stessa ricerca del Pew Research Center, il tasso di fertilità dei musulmani nell’Europa occidentale (numero medio di figli per donna) scenderà da 2,2 a 2, mentre per i non musulmani, nello stesso contesto, questo tasso passerà da 1,5 nel 2010 a 1,6 nel 2030. In Italia il tasso di fertilità dei musulmani scenderà da 1,9 del 2010 a 1,8 del 2030.
A rafforzare, però, il sentimento di paura e avversione nei confronti dei musulmani contribuisce anche l’instabilità politica e sociale in alcuni Paesi a maggioranza islamica, a causa delle guerre e del terrorismo. Quest’ultimo ha colpito in diverse occasioni anche in Europa: due volte in Francia l’anno scorso e ad aprile di quest’anno in Belgio. Gli autori di questi ultimi attentati, ma anche di quelli avvenuti in passato in Spagna e in Gran Bretagna, hanno dichiarato tutti il loro background islamico.
Ma a portare i terroristi a compiere i loro atti criminali è un percorso di radicalizzazione religiosa avvenuto attraverso la rete e/o alcune moschee fondamentaliste e jihadiste sunnite, dove gli imam predicano odio e violenza contro coloro che hanno un approccio alla religione diverso dal loro: sunniti, sciiti, cristiani, yazidi, drusi, ecc.
La fonte principale del terrorismo jihadista che preoccupa il mondo è l’Arabia Saudita. Questo Paese, molto influente nel mondo islamico, è il principale ostacolo alla riforme dottrinali di cui ha forte bisogno l’islam per adeguare i suoi insegnamenti alla vita di oggi. La monarchia saudita è uno dei principali alleati commerciali e geopolitici dei grandi Paesi occidentali, che lamentano – a ragione – l’assenza di tali riforme, specie in materia di diritti umani e di libertà di coscienza. Vi è quindi una grande contraddizione – sistematica – tra le giuste rivendicazioni di riforme e gli ingenti interessi commerciali e geostrategici di Paesi come gli Usa, il Regno Unito, la Francia, la Germania, l’Italia, ecc. È una “ambiguità” che rende questi Stati – in parte non irrilevante – responsabili del diffondersi del terrorismo e dell’islamofobia, due facce delle stessa medaglia.
L’autore di questo articolo è Mostafa El Ayoubi, Giornalista, esperto di islam, caporedattore del mensile interreligioso Confronti.
* Illustrazione di Mauro Biani, tratta dal libro Tracce migranti. Vignette clandestine e grafica antirazzista (Altrinformazione, 2015)
Leggi la presentazione di Adista alla pubblicazione da cui questo articolo è tratto
Da questo link è possibile scaricare l’intero numero in formato pdf